LE “DINAMICHE VISIONI DEL REALE” DI MAXI ORSINI
Gli stilemi presenti nella ricerca creativa di Maxi Orsini rivelano una precisa connotazione estetica che conduce direttamente al cuore del suo pensiero, indirizzato verso una ricerca incessante votata alla sperimentazione.
Questa intonazione consente all’artista di praticare in maniera personale i sentieri della Street Art realizzando opere connotate da specifici significati che non risultano mai criptici, ma anzi cercano, senza aprioristiche censure, un “dialogo” diretto e immediato con l’osservatore, quasi a volerlo fare partecipe di ciò che ha originato un determinato quadro.
Ne sono prova lavori in cui anche soggetti figurativi tradizionali, come ad esempio un gatto, sul quale esiste una iconografia infinita, diventano motivo per una traduzione dinamica. Nel caso di A cat with a fluo, il felino viene raffigurato mediante vibranti tocchi di colore che quasi esondano, formando un caleidoscopico dripping di memoria pollockiana e che pertanto si coagulano ed estendono anche “dentro” e “oltre” la mera superficie del supporto.
Un’altra componente peculiare della ricerca di questo eclettico creativo è data dall’elemento musicale, inteso innanzitutto come legame diretto con il mondo delle note, a cui Maxi dedica tra l’altro un brillante omaggio a Louis Armstrong, che dalla penombra emerge con la sua tromba rivolgendosi verso gli astanti, quasi a ribadire il senso di una delle sue frasi più celebri: “la musica non vale nulla se non puoi riversarla sul pubblico”.
Ma scorrendo la quadreria di Maxi, si può parlare di musicalità anche per quella costante ricerca di equilibrio armonico, visivo e visuale, che emerge in quei pezzi articolati da precisi tagli, quasi fotografici, dove lo zoom porta l’attenzione su alcuni determinati particolari, come gli occhi sensitivi dell’opera intitolata Attesa, che introducono direttamente il fruitore in seno al fulcro del quadro in maniera assolutamente sorprendente.
La materia compositiva si fa così viva e pulsante tanto da conferire all’insieme una robusta forza evocativa, laddove cioè il significato si palesa attraverso l’espressione, il gesto o la postura che inquadrano immediatamente lo sviluppo dell’immagine propriamente pittorica.
La volontà di comunicare viene così ad essere alimentata dalla voglia di esprimersi mediante un linguaggio metanarrativo che possiede il dono dell’evocazione prospettica.
Guardando infatti i lavori di Orsini si ha la netta sensazione che Maxi cerchi in tutti i modi di portare alla luce le linee essenziali del soggetto prescelto, fra l’altro senza mai tradirne la specificità. E ciò vale sia per i soggetti in cui appaiono figure umane sia in quelli dove sono presenti animali, specie cavalli e cani.
Inoltre, in coerenza con lo spirito più autentico della Street Art, che spesso si pone in maniera costruttivamente critica nei confronti della società, dunque non per demolire o peggio ancora per demonizzare quanto accade attorno a noi, ma piuttosto per stimolare l’opinione pubblica verso temi di scottante attualità, l’artista presenta lavori dove il rimando simbolico si coglie in maniera ancora più stringente.
In Cogito Self-Portrait è una scimmia a farsi un autoritratto (o forse un selfie?), mentre in I Was a refugee, si osserva un Cristo a mani aperte che sulla tunica reca una scritta e un moderno logo che alludono all’accoglienza di persone a cui il destino ha riservato la sventura di dover abbandonare i luoghi cari per cercare fortuna altrove.
Sono pertanto sufficienti queste esemplificazioni per vedere in Maxi Orsini uno street artist che sa toccare le corde profonde dell’anima attraverso la qualità dei suoi lavori che non nascono mai dal caso, ma che anzi richiedono una gestazione attenta e perspicace quanto l’affascinante risultato che ne deriva.
Dott. Simone Fappanni,
critico e storico d’arte